Cari Visitor,
come promesso, ecco a voi il racconto che ha conquistato il terzo posto nel concorsone di quest’anno. Complimenti a Ms. Alyot. Continua così!
Buona lettura.
CORSA NEL PARCO
Era una notte buia e tempestosa quando rientrarono nell’attico con vista sul Central Park. Lei era bellissima e con centodieci centimetri di gambe.
Le aveva chiesto di sposarlo nel più prestigioso ristorante di Manhattan, certo la classe non è acqua. Bevvero champagne Veuve Clicquot Ponsardin Brut Rose del ‘98, col suo lavoro di avvocato poteva ben permetterselo. Accesero il caminetto con davanti una pelle d’orso sintetica, perché lei era animalista. La tirò giù delicatamente prima sopra di sé, poi la prese con veemenza sotto di sé. Lei gli ficcò le unghie laccate nella schiena mentre si assaporavano vicendevolmente fino ad essere sazi l’uno dell’altra. Poi fumò una sigaretta e pensò a tutti quelli che hanno di fianco una brutta, menomale che non era il suo caso: Shantal era un angelo senza botox nè silicone, caduto dal cielo direttamente nel suo appartamento sulla Quinta Strada. Se è vero che una rondine non fa primavera, lei invece l’aveva fatta nascere nel suo cuore. Improvvisamente fu l’alba, quando Shantal aprì gli occhi e lo guardò.
“Amor mio” le disse “Ti è piaciuto stanotte?”.
“Sì, Jhon, sei l’amante perfetto, fisicato, ricco, neri capelli e barba incolta ma curata: insomma, l’uomo dei sogni e io (singulto) ti ho tutte le notti, ma..”
“Ma cosa?”
“Ma inaspettatamente mi sono resa conto che non sei l’uomo per me”.
“Cosa? Ma che dici?”
“Tu sei un bravissimo ragazzo, ma io voglio l’avventura. Meglio un uovo oggi che una gallina domani, Jhon. Perdonami ma io amo un altro, non so come sia potuto accadere ma è accaduto, lui mi aspetta qua sotto, non posso più viver con te!”.
Shantal si alzò e repentinamente corse fuori velocemente.
Jhon rimase inebetito, il corpo da dio greco scosso da brividi che non sapeva spiegarsi, incapace di fermare il suo unico amore che lo stava lasciando. Si sentì invadere da un calore gelido: la sua vita perfetta non stava più in piedi, il suo cuore infranto faceva più male di un pugno, ora doveva affrontare l’inferno che bruciava più del fuoco.
D’improvviso sentì la porta aprirsi: era Shantal! Era tornata!
“Jhon, ho dimenticato le sigarette, lo so che mi fanno male alla pelle, ma sai con questa crisi… Addio, sappi non ti dimenticherò mai!”.
Poi sparì e puf e per Jhon fu come se il sole si spegnesse per sempre in un freddo inverno senza fine. Nudo e solitario davanti al camino spento, pianse ininterrottamente per la prima volta nella sua esistenza.
Si alzò dopo molto tempo. Al diavolo la stronza, se si perdeva uno come lui era veramente pazza. Gliel’avrebbe fatta vedere: si sarebbe fatto tutta Manhattan e il New Jersey, spezzando cuori a iosa così lei avrebbe sofferto, ovunque fosse stata, se il fumo non l’uccideva prima. Uscì a correre. Faceva la maratona in poco più di tre ore, a qualche minuto dal record olimpico, d’altronde l’allenamento nei Marines era stato molto più duro. Ma oggi avrebbe corso per dimenticar Shantal. Procedeva sempre più velocemente. Corse finché il cuore a pezzi e quella vecchia distorsione al menisco mediale che si era procurato giocando a football e che tanti anni prima gli aveva stroncato la carriera, gli ressero. Poi si fermò, sudato nel vento, doveva coprirsi o si sarebbe preso un malore, la lycra gli si appiccicava addosso come una seconda pelle bagnata, ma teneva caldo perché era nera e si scaldava col sole, e tutte le donne che passavano per la via non potevano fare a meno di guardar quell’adone statuario, a fissar con desiderio i pantaloncini attaccati al sedere marmoreo e l’abbondante parte anteriore.
Non si era portato nemmeno una salvietta, non gli importava, poteva morire di tisi lì sul posto tanto oramai la sua vita era un susseguirsi di giorni uguali ed inutili, senza Shantal nulla aveva più senso.
La maledisse, che togliere il tatuaggio col suo nome avrebbe fatto male, poi ebbe sete e si diresse verso una fontana. Ci mise dentro la testa, poi si tirò su d’improvviso cosi che l’acqua fece un piccolo arco dietro di lui e produsse un arcobaleno, i capelli lunghi che cadevano seducenti sulle spalle, e tutte si chiedevano chi era quel principe azzurro e solitario e dallo sguardo triste e misterioso e senza fede all’anulare.
Jhon stava splendido di giovinezza nel sole, come un sogno, quando improvvisamente ed inaspettatamente la folla si aprì in due ali, e ne spuntò dal mezzo uno scarto reietto, un rifiuto, un barbone che trascinava la sua fetida vita a bordo di un carrettino putrido con delle ruote, e si spingeva con le nocche sull’asfalto che al suo confronto era pulito. Avanzava insultando il popolino, la puzza che arrivava prima di lui, fino a quando si fermò, sgorbio e ripugnante, davanti alla figura fulgida di Jhon, che nel frattempo si era asciugato dal sudore evitando fortunatamente una malattia potenzialmente mortale.
Ci fu un momento in cui si fronteggiarono, la divinità ed il ripudio, guardandosi con la sfida negli occhi, e a tutto il volgo intorno gli si mozzò il respiro in gola, bloccato nell’attesa che succedesse qualcosa improvvisamente, come un duello western. Jhon vide che il centauro mancava di gambe, ed usava il carrettino appunto per spostarsi, quando questo quindi lo squadrò ed aprendo la putrida bocca senza denti, sputando fuori con furia frasi e saliva, disse:
“Cazzo guafdi? Vai, và, che fe aveffi ancofa i piedi ti dafei un calcio in culo di quelli fatti bene”.
Poi si mise a spingere sulle nocche spellate, andando via da lì, la folla che si richiudeva alle sue spalle.
Jhon rimase colpito da quelle parole. Lui i piedi ce li aveva ancora, in fondo era fortunato, dannatamente fortunato. Chi se ne fregava di Shantal, che senso aveva rimanere ancora lì? Decise che sarebbe partito al più presto, verso il Tibet o le Cayman, verso una nuova consapevolezza. Si girò nel sole che tramontava e si mise a correre, felice che l’importante sia stato capire che c’è sempre qualcuno che sta peggio di te.
Direi che i cliché ci sono tutti! Complimenti!
Nell'eventuale sequel, voglio che il barbone era già apparso anche a Shantal e Jhon la ritrova in Tibet.
Moz-
Quoto Moz, buoni i cliché, ho apprezzato anche l'ortografia dei nomi! (Per metà racconto pensavo stesse parlando con una confezione di succo).
Sono leggermente perplesso sul deus ex machina, ma per come l'ho interpretato io. Comunque complimenti per la lacrima strappastorie (cit. Tua madre è leggenda)
Come racconto di merda va anche bene ma mi pareva di ricordare che dovesse esser scritto in 'perfettoitaliano'. Ecco, qualche virgola a cazzo c'è. Purtroppo si avverte che è stato scritto da chi sa scrivere almeno quasi decentemente. L'avevo detto dall'inizio che i genuini scrittori di merda dovrebbero vincere senza saperlo. Ella Gai vincerebbe bronzo argento e rame con una sola trilogia. Tra l'altro una pessima e lieve ironia ridondante è ben spalmata. Mi pare fosse vietato. Speriamo nel secondo posto. Comunque complimenti Snoopy.
Opera mirabile.
Ma è bellissimissimo! Cioè, a me mi ha emozionato tanto specie la parte che lui era bellissimo l'uomo che voleva avere nella sua vita ma lei però trova il coraggio di lasciarlo e andare con l'altro che voleva avere perché bisogna essere se stessi non bisogna mentirsi mai anche se quello che credi di avere è i tuoi sogni. Però per lui mi è spiaciuto molto perché dai, non è il classico figo e basta però stronzo, dimostra che non bisogna giudicare le persone per come ci appaiono tutti dentro hanno qualcosa. Brava l'autrice! Non vedo l'ora di leggere qualcosaltro di tuo!
😀 commento in tema
Complimentoni un po' invidiosi all'autore di cotanta immonda immondizia. ; )
Ancora non riesco a capire la malattia potenzialmente mortale che dovrebbe derivare dal non asciugarsi il sudore, ma va beh, misteri della scrittura di merda.
E poi ammetto di aver riso come un matto per quella parte in cui l'addestramento dei marines sarebbe più duro di fare la maratona in tre ore! Ha ha ha ha ha!!
E' talmente brutto da essere quasi un capolavoro, potrebbe stare senza vergogna vicino ai Fratelli Karamazov. 😀
Almeno questo si propone di esser merda e dura molto meno. Il Dosto – come tanti – la tira all'infinito: non ho mai capito bene perché Fedor piaccia così tanto. Solitamente metto su un piatto della bilancia le persone che conosco e le loro storie sofferte; sull'altro metto l'originalità del grande scrittore di turno: quasi sempre preferisco la mediocrità delle vite difficili non raccontate. Non so se sia questione di empatia per l'amico o odio per la letteratura pallosa ma è sicuro che ieri, meno di oggi, gli editori singhiozzano… E così le vendite.