Venerdì diciassette.

1919

 

 

Cari sopravvissuti,

vi scrivo da un angolo sperduto di questa fogna chiamata web. A voi onnipresenti, a voi che fate a sportellate per un briciolo di visibilità in più, auguro ogni fortuna. Occhio, però, perché non verrà fuori un nuovo Aranzulla. Che vi occupiate di guide per tecnoimpediti o di copywriting spicciolo, sappiate che l’unico modo per monetizzare è trovarvi un lavoro.

Un lavoro vero, non lo scrittore, non il poeta. Una roba che presupponga dei contributi previdenziali o, nella peggiore delle ipotesi, una paghetta passata sottobanco.
Rendetevene conto: scrivete parole vuote, non comunicate più nulla e lo sapete. Titolate articoli dando al lettore l’illusione di accingersi alla scoperta di chissà quale verità, ma non-di-te-più-un-caz-zo-por-ca-put-ta-na.

Questo potrà sembrare lo sfogo di uno psicopatico ai più, agli internauti medi, ai blogger. Non escludo che lo sia, ma è più forte di me: ci sono periodi in cui riesco a reprimere il mio disgusto per il social, altri in cui viene fuori in tutta la sua violenza. Ho detto blogger. Blogger non è una professione, signori. Ogni tanto mi capita di dover correre in bagno, ma non oserei mai definirmi un toiletrunner, sebbene potrei scriverlo su Linkedin, dove il narcisismo basato sul nulla raggiunge vette da guinness dei primati (ove per “primati” intendo il plurale di primate, senza alcuna intenzione di offendere i simpatici animali in questione).

Sono nato e cresciuto in un mondo in cui ci si vedeva per una birra o un caffè al solito bar anziché chattare su Facebook col vicino di casa. Riavvolgevo con la matita nastri su cui erano registrati pezzi sparsi di artisti dei quali non conoscevo nemmeno il volto. Mi son ritrovato vent’anni dopo, il giorno dopo, in un mondo di selfie, giornalisti che scrivono articoli basati su un tweet, minorenni disposti a tutto pur di spillare i soldi per l’ultimo iphone ai loro genitori.

E spesso mi chiedo cosa sia andato storto, cosa ci abbia involuti. Siamo peggiorati tanto che te ne vergogni, canta Caparezza. E in tutto questo trovo solo una costante: i coglioni ci sono sempre stati. Dal ku klux klan alle bombe atomiche, dai lager a Guantanamo, dalle pellicce al foie gras, le prove in tal senso non mancano.

E se qualche nazi-islamista può far fuori un’intera redazione per qualche vignetta di troppo, se l’informazione dev’essere ancora oggi nascosta, sporcata, minacciata, c’è un’altra evidente verità: le idee fanno ancora paura. Quindi, se ne avete, sfruttate la materia grigia e tiratene fuori qualcosa che sia degno d’esser pubblicato. Di fuffa ce n’è troppa in giro, e in questo la rete si dimostra un impareggiabile propulsore di mediocrità.

Questo ho scritto, questo penso.
Ora il sipario può riaprirsi.

 

26 Commenti

  1. Fottutamente ben tornato, e per giunta di venerdì 17.

    "Siete pronti a recitare con me "se anche io camminassi nella valle del web io non ne avrei timore, perché io sono il più tosto figlio di puttana della valleee?!"

    Ah, qualche giorno fa ti ho assegnato un Boomstick Award.

    A presto e spesso rileggerti.

  2. Un ritorno coi controcazzi, bravo.
    Quanto al mondo che ci ritroviamo, pensa a come dovevano sembrare gli anni '70 a chi era cinquantenne o sessantenne. O gli anni '80, a noi tanto cari.
    E' che diamo sempre il peggio di noi stessi, ci piace renderci idioti 🙂

    Moz-

  3. Il toiletrunner è bellissimo 😀
    Concordo su tutto. Da tempo predico sulla mediocrità dei post che vengono pubblicati. E anche secondo me la gente non dice più nulla di nuovo.
    Sulla questione chat e FB hai mille volte ragione. I selfie dovrebbero essere dichiarati anticostituzionali.

  4. Bel post. Sono anch’io di quella generazione, l’ultima che ha fatto in tempo a vivere senza internet e che usava il telefono solo se serviva. Non rimpiango molto di quegli anni, a parte le musicassette in cui trovavo il mio quarto d’ora di paradiso, ma la degenerazione è un dato di fatto.

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